Ultimamente, la giurisprudenza è sempre più concorde sul riconoscere l’obbligo di risarcimento del danno non patrimoniale al coniuge che subisce l’atto di infedeltà da parte dell’altro coniuge.
Dottrina e giurisprudenza sono oramai concordi nel ritenere che con il termine “infedeltà” non si intende più solo la consumazione di un rapporto fisico con un’altra persona, ma anche il coinvolgimento affettivo provato da uno dei due coniugi nei confronti di un terzo e la messa in essere di condotte o comportamenti che possano indurre il coniuge e persone terze ad ipotizzare che ci possa essere stata la consumazione di un rapporto extra coniugale.
Dal matrimonio, come noto, sorge in capo ai coniugi il dovere di fedeltà la cui violazione può comportare, da un lato, la pronuncia della separazione con addebito e dall’altro può essere fonte anche di risarcimento del danno.
Il riferimento normativo per giustificare tale diritto al risarcimento, anche se di primo acchito potrebbe pensarsi sia l’art. 1218 c.c., è rappresentato, senza dubbio alcuno, dagli artt. 2043 e 2059 c.c.
Ovviamente, il coniuge che ritenga aver subito un danno dal comportamento posto in essere dall’altro coniuge dovrà necessariamente provare che tra l’infedeltà e il danno lamentato sussista un rapporto di causalità.
Con la sentenza 15 settembre 2011, n. 18853 la Corte di Cassazione ha, inoltre, definitivamente “slegato” il diritto al risarcimento del danno dalla pronuncia di addebito della separazione prevedendo la legittimità di un’azione risarcitoria autonoma indipendentemente dalla pronuncia dell’addebito nell’ambito del processo di separazione, pur mantenendo la posizione circa la necessità della gravità della condotta infedele che dovesse andare oltre i limiti della normale tollerabilità richiesta a ciascun coniuge nell’ambito della vita matrimoniale.
Si pensi al caso di chi tradisce il coniuge, con modalità umilianti, quando ormai il matrimonio è naufragato per altre ragioni. In un caso del genere, infatti, non è l’infedeltà la causa della separazione e ciò implica l’assenza di addebito; ma non bisogna neanche sottostimare le modalità con cui è avvenuto l’adulterio che, avendo leso la dignità della vittima, consentirà di ottenere il risarcimento dei danni.
Nella sentenza n. 18853/2011, sopra citata, la Suprema Corte afferma in particolare che “anche nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono infatti tali, cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile. Fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sé e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 c.c., riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai quali è stata formulata la domanda dell’odierna ricorrente”.
Ai fini della richiesta del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 possono essere elementi utili la dimostrazione della violazione dei doveri coniugali da parte del coniuge traditore stabiliti all’art. 143 c.c. (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e contribuzione ai bisogni della famiglia) e la pronuncia di addebito ma è fondamentale nonché requisito essenziale, che venga dimostrata la lesione, oltre la soglia della tollerabilità, di un diritto non patrimoniale meritevole di tutela costituzionale come ad esempio il diritto all’onorabilità, dignità, riservatezza, salute ed altri. La lesione di tali diritti, ai sensi dell’art. 2 Cost., è l’elemento mediante il quale è possibile procedere, facendo valere un diritto soggettivo tutelato dalla Costituzione (sent. Cass. n° 6598/2019), direttamente e in via autonoma per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito senza dover attendere le pronunce in merito al procedimento di separazione.
Il pregiudizio che occorre dimostrare, per essere giuridicamente rilevante ai fini del risarcimento, deve andare oltre la sofferenza interiore provocata dalla condotta illecita e lesiva del coniuge ma deve rappresentare in modo significativo e dimostrabile una vera e propria offesa di un diritto inviolabile della persona come quello alla salute o alla dignità.
In conclusione, per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito quale l’infedeltà, sia all’interno sia in via autonoma rispetto ad un procedimento di separazione, è necessario dimostrare l’infedeltà (art. 143 c.c.), il danno (art. 2059 c.c.) ed il nesso di causalità tra i due (art. 2043 c.c. e sent. Cass. n° 6598/2019).