Negli ultimi anni, i corsi di laurea con test selettivo previsto prima dell’iscrizione sono cresciuti a dismisura, tanto che i test di ingresso sono diventati la consuetudine per accedere alla formazione universitaria.

Il legislatore nazionale, sulla scorta di numerose direttive comunitarie che imponevano agli Stati membri di garantire adeguati standard formativi nei rispettivi corsi di formazione e raccogliendo l’invito della Corte Costituzionale (sentenza n. 383 del 1998), ha cercato di regolamentare la materia con la legge n. 264 del 1999 («Norme in materia di accessi ai corsi universitari»).

La legge citata, però, si è rivelata molto generica, ribadendo la legittimità del numero chiuso per i corsi universitari di area medica (Medicina, Veterinaria e Odontoiatria) e di Architettura e prevedendo, all’art. 2, la possibilità per i singoli atenei di istituire il numero chiuso nei seguenti corsi di laurea:

· quelli per i quali l’ordinamento didattico preveda l’utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati;

· nei corsi di diploma universitario per i quali l’ordinamento didattico prevede l’obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall’ateneo;

· nei corsi o nelle scuole di specializzazione individuate dai decreti attuativi delle disposizioni di cui all’art. 17 comma 95, legge n. 127 del 1997.

L’ art. 3 della legge n. 264 del 1999 detta principi e criteri ai quali le Autorità amministrative devono attenersi per la determinazione del numero dei posti relativi ai medesimi corsi, sulla base della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, ma anche tenendo conto “del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”. In particolare, la legge specifica come effettuare la valutazione dell’offerta potenziale delle Università, al fine di determinare i posti disponibili, ovvero considerando parametri come i posti nelle aule, le attrezzature e i laboratori scientifici per la didattica, il personale docente, il personale tecnico, i servizi di assistenza e tutorato, il numero dei tirocini attivabili e dei posti disponibili nei laboratori e nelle aule attrezzate per le attività pratiche, delle modalità partecipative degli studenti alle attività formative obbligatorie. Si tratta di una legge generica, che ha consentito in sostanza a tutte le Università di introdurre il numero chiuso. Infatti, facendo riferimento alla lett. a) del comma 1 dell’art. 2, «corsi di laurea per i quali l’ordinamento didattico preveda l’utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati», sono stati moltissimi gli atenei che negli ultimi anni hanno introdotto il numero programmato per l’accesso ai propri corsi di laurea.

Proprio interpretando estensivamente l’articolo citato, il numero chiuso nelle Università italiane è cresciuto in maniera incontrollata ed è stato introdotto anche per corsi di laurea che non prevedono l’utilizzo di laboratori o che non hanno l’obbligo del tirocinio.

Proprio rispetto a tali facoltà, da ultimo, alcuni T.A.R. hanno accolto le istanze cautelari di studenti collocatisi in graduatoria in posizione non utile ai fini dell’ingresso all’università, ammettendoli con riserva. Il T.A.R. Lazio (Sez. III, 15 settembre 2005 n. 7160) ha accolto, ad esempio, il ricorso di uno studente non ammesso al corso di laurea breve in Scienze e tecniche psicologiche, proprio con la motivazione che il corso suddetto non rientrava nelle tipologie previste dall’art. 2 della legge n. 264/1999.

La giurisprudenza, dalla citata legge, ne ha infatti desunto, innanzi tutto, che condizione fondamentale per l’operatività della norma è che le prescritte peculiari caratteristiche dei corsi debbono risultare dall’ordinamento didattico del singolo ateneo, in modo da assicurare poi agli studenti la frequenza di strutture universitarie adeguatamente organizzate per l’attività formativa (cfr.. TAR Veneto, Sez. II, 20 gennaio 2004 n. 179). Quanto, in particolare, ai laboratori, si è sottolineato che la legge dispone che si tratti di “laboratori ad alta specializzazione”, onde non si presenta ammissibile un’interpretazione che ampli in modo indiscriminato la portata della norma, facendovi rientrare ogni tipo di laboratorio o struttura tecnica, indipendentemente dalla sua entità (v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2002 n. 1374).

Attualmente, quindi, data per legittima l’introduzione del numero chiuso per le facoltà di Medicina, Veterinaria, Odontoiatria e Architettura, si tratta di capire se sia altrettanto legittima la limitazione degli iscritti per i restanti

Pertanto, possono proporre ricorso tutti coloro che hanno sostenuto un test per accedere ad un corso a numero programmato, presso facoltà diverse da quelle di Medicina, Veterinaria, Odontoiatria e Architettura, e non si sono classificati utilmente.